Carlo Michelstaedter – Epistolario – Adelphi 1983

18,00 

Editore: Adelphi
Formato: Copertina rigida con sovracopertina
Anno edizione: 1983
Condizioni: Alcuni piccoli strappi alla sovracopertina, altri lievi segni d’uso in sovracopertina, timbro personale al risguardo, per il resto ottimo stato
Pagine: XVII-489

La maggior parte delle lettere che compongono questo volume è del tutto inedita o qui pubblicata per la prima volta nella sua interezza. A distanza di più di settant’anni dalla morte di Michelstaedter, che sempre apparve come un temibile enigma, possiamo dire finalmente con questo libro di sapere qualcosa della sua vita. Ed è un qualcosa di immensamente vivo, dettagliato, coinvolgente: un documento prezioso che nulla toglie alla enigmaticità di Michelstaedter, ma conferisce alla sua fisionomia un profilo più netto, una voce penetrante, il fascino di una invincibile gioventù che convive con una maturità precoce e devastatrice.
Quando, nell’ottobre del 1905, il diciottenne Carlo Michelstaedter lasciò Gorizia per andare a studiare all’università di Firenze, quella partenza gli appariva al tempo stesso come «esiglio» e come inizio di un’avventura. Da principio quasi ora per ora, poi sempre con grande slancio e naturalezza, oltre che con ironia, spesso esilarante, raccontava nelle lettere ai suoi le impressioni che gli venivano incontro: gli amici di famiglia, per lo più della buona borghesia ebraica, che lo accolgono nelle varie città, descritti in brevi tratti corrosivi; le ‘bellezze d’Italia’ che appaiono finalmente dal vero e gli fanno «scorrere nel corpo come un’onda di bellezza»; i professori, i compagni, l’università, la vita di tutti i giorni. C’è un’affettuosa immediatezza in queste lettere, una vitalità prorompente, che evita senza esitazioni ogni paludamento retorico, così frequente nell’Italia di quegli anni, e nei giovani non meno che negli altri. Poi, fin dalle prime, bellissime lettere d’amore, si cominciano ad avvertire i segni dell’altro Michelstaedter, quello della Persuasione: l’addensarsi di un’esperienza solitaria, la cristallizzazione di un pensiero aspro, estremo, che vive sin dall’inizio nell’intimità con il proprio naufragio. Da una posizione di apertura totale al mondo, mobile e irriflessa, nel giro di pochi mesi e anni assistiamo a un richiudersi esigente e doloroso. Solo le lettere ci permettono di seguire, momento per momento, questo processo. Così una volta Michelstaedter vi alluse, scrivendo a Chiavacci: «Mi sto richiudendo e godo della curva graziosa che le foglie fanno per riunirsi; in tanto dagli ultimi spiragli scappano precipitose queste poche righe».

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