Jerome Kagan – La natura del bambino. Psicologia e biologia dello sviluppo infantile.

4,00 

Editore: Einaudi
Formato: Brossura con sovracopertina
Anno edizione: 1988
Condizioni: Piccolo strappo, segni d’ abrasione e d’uso in sovracopertina, per il resto il volume è in ottimo stato
Pagine: 294

Recensione di Mancia, M., L’Indice 1988, n. 6

Kagan inizia la sua esplorazione della mente del bambino con l’ovvia considerazione che il pericolo, in questo tipo di ricerca, è quello di attribuire al bambino aspetti specifici della psicologia degli adulti. E partendo da questa critica all’adultomorfismo è di fatto possibile ridimensionare la maggior parte delle teorie dello sviluppo della mente, dalla nascita all’adolescenza.
Il complesso lavoro di Kagan è ancorato ad un assunto bio-psicologico che potremmo definire isomorfico nel senso che per questo autore, “man mano che le strutture cerebrali raggiungono determinati livelli di organizzazione, emergono nuove capacità cognitive che inducono nuove motivazioni”. Di fatto, per Kagan la maturazione di capacità cognitive (e tra tutte il pensiero) è il perno intorno al quale ruotano gli affetti, le emozioni e le azioni. La maturazione cognitiva è un continuum di possibilità offerte al bambino fin dai primi mesi gestazionali, sempre in una stretta relazione con la maturazione di cellule e sinapsi nervose, specie della corteccia cerebrale. La organizzazione di strutture neurobiologiche è la base per la organizzazione di schemi mentali percettivi, mnemonici, cognitivi. Il concetto di schema – come prima forma di conoscenza infantile che inizia con le esperienze che i neonati fanno partendo da ciò che vedono, odono, odorano, gustano e toccano (soprattutto nella loro intima relazione con la madre) – è centrale a tutto il pensiero di questo autore e forse la sua elaborazione più originale.
Sulla base degli schemi che riesce a costruirsi il bambino potrà memorizzare determinate esperienze e sarà in grado di mettere in relazione le sue innate motivazioni (prime fra tutte le sue pulsioni di vita) con gli affetti delle sue relazioni primarie (prima fra tutti la madre), con cui sarà in grado di stabilire un attaccamento. Quest’ultimo sarà quindi collegato ad una relazione che sarà la base della sua sicurezza, stato questo in continua crisi e trasformazione che costringerà il bambino ad un continuo lavoro di adeguamento della propria soggettività alla oggettiva realtà esterna, in quanto – dice Kagan – “lo schema che il bambino si crea non potrà mai essere una copia esatta della realtà”. Ne è un esempio la possibilità di attrarre l’attenzione del bambino presentandogli stimoli nuovi che lo costringono a organizzare un nuovo schema, lievemente diverso da quello abituale. Di fatto – precisa Kagan – “la mente si sviluppa proprio sul confine tra ciò che è abituale e ciò che invece subisce una minima trasformazione”.
Certo, una delle funzioni fondamentali della mente del bambino nel primo anno di vita è quella di mettere in relazione le esperienze che fa momento per momento con gli schemi che ha formato nel corso della sua breve storia. In una parola, la sua possibilità di memorizzare l’esperienza. Per Kagan questa possibilità matura nel bambino parallelamente alle trasformazioni cui va incontro il sistema nervoso centrale, soprattutto la corteccia prefrontale. Ad un difetto primario di memoria l’autore fa risalire la comparsa dell’ansia da separazione tra gli otto e i dodici mesi di età. “L’ansia da separazione – egli scrive – recede dopo i due anni d’età perché il bambino diventa capace di comprendere l’evento, di prevedere il ritorno della madre e di reagire in maniera produttiva”. In una parola l’attivazione della memoria permette al bambino di organizzare quelle conoscenze necessarie per risolvere il problema che ha generato l’ansia.
Naturalmente questa è una concezione molto riduttiva dell’ansia e un po’ semplicistica che si basa su una idea ottimistica dello sviluppo della mente e delle emozioni e sentimenti del bambino; idea che conferisce alla conoscenza la possibilità di produrre emozioni capaci di consentire un comportamento flessibile. Su queste possibilità si basa quella relazione emotiva che il bambino stabilisce con chi si prende cura di lui e che è stata chiamata attaccamento. La serenità del bambino sarà favorita da ogni situazione che produce o consolida l’attaccamento. L’ansia al contrario sarà prodotta da separazione o minaccia all’attaccamento. Quindi l’ansia è per Kagan sempre secondaria ad una paura di perdita di una persona cara. Qui l’autore fa sua una affermazione di Bowlby che “gli attaccamenti profondi ad altri esseri umani sono il perno intorno a cui ruota la vita di un individuo non solo quand’egli è ancora un lattante o tenta i primi passi ma per tutta l’adolescenza e la maturità su su fino alla vecchiaia”. L’attaccamento del bambino alla nutrice appare come il cardine intorno al quale ruota il genetico e l’ambientale, l’innato e l’acquisito. Al punto da affermare che “i teorici contemporanei…vedono nel bisogno individuale di un rapporto di fiducia e d’amore e nell’urgenza di controllare l’ansietà le spinte più potenti del comportamento umano”.
Le tappe e gli eventi che hanno caratterizzato lo sviluppo della mente dall’età infantile all’età adulta potranno spiegare la organizzazione definitiva del comportamento umano come in analogia con il modello biologico, ogni cellula che nello sviluppo embriologico ha raggiunto la sua destinazione assume una forma definitiva che sarà impossibile cambiare.
Biologia e psicologia, natura e cultura sono così erubricati nel pensiero di Kagan da fargli affermare che anche lo sviluppo del senso morale segue un suo naturale percorso che lo avvicina alla “naturalezza con cui le tartarughine di mare appena rotto l’uovo vanno verso l’acqua”. Questa concezione pecca di una certa ingenuità e giustifica alcune banalità come l’accusa alla psicoanalisi di aver preso in considerazione solo il desiderio sessuale dell’uomo trascurando il suo desiderio di mantenere il proprio Io moralmente buono. L’ingenuità di questa idea appare in tutto il suo spessore con l’affermazione che a fondamento dei principi morali sta l’emozione, che a sua volta ha il compito di mantenere gli stimoli che danno piacere e allontanare quelli dolorosi.
Il gioco qui diventa tautologico e denuncia un impasse che si evidenzia più chiaramente nell’ultimo capitolo, dedicato al ruolo della famiglia. In questa parte Kagan non va molto oltre l’affermazione che la relazione tra il comportamento dei genitori e le qualità del bambino è ambigua. Si domanda come sia possibile una conclusione così pessimistica. Forse nell’analisi di Kagan è mancato un microscopio più fine – per rimanere nella metafora biologica a lui cara – per evidenziare e riconoscere quei processi di scissione, identificazione protettiva e introiettiva, negazione, idealizzazione e imitazione che sono alla base della formazione del mondo interno dell’individuo e che valorizzano e responsabilizzano il ruolo dei genitori, senza sminuire quello della genetica nel complesso processo che porta alla creazione della persona umana.

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